a cura del Prof. Giorgio Soardo - Dirigente Medico S.O.C. Clinica Medica - AOU Udine
Il virus dell’epatite C (HCV) rappresenta ancor oggi un importante problema di salute pubblica mondiale in quanto è la principale causa di epatiti virali croniche e di trapianti di fegato.
Stime a livello mondiale confermano che circa 170 milioni di persone nel mondo sono infettate con tale virus.
In Italia la prevalenza del virus è stimata nell’ordine del 2-3% con picchi del 5-10% nelle regioni del Sud d’Italia.
La prevalenza inoltre è più elevata tra le persone nate negli anni 1945-1970 poiché in questo periodo vi è stato il boom di trasmissione della malattia tramite le trasfusioni di sangue e i derivati del plasma o l’utilizzo di siringhe per iniezione non monouso.
Negli anni ottanta per la prima volta un gruppo di studiosi americani riportava che una quota di epatiti virali croniche non presentavano gli anticorpi per i virus dell’epatite A(HAV) o dell’epatite B(HBV); per questi casi di epatiti “orfane” venne coniato il termine di “epatite NonA e NonB.”
Nel 1989 venne isolato per la prima volta il virus dell’epatite C.
In breve vennero creati i test di screening che permisero di identificare come HCV positivi l’80% dei soggetti a cui precedentemente era stata diagnosticata un’ epatite cronica NonA NonB.
Tali test vennero impiegati nello screening dei donatori di sangue e questo ha permesso di ridurre la probabilità di trasmissione del virus C con le trasfusioni di sangue e gli emoderivati.
In seguito venne identificata e clonata la struttura genomica del virus e questo ha permesso di utilizzare dei test di rilevazione genomica del virus(HCV-RNA) che hanno definitivamente annullato la probabilità di trasmissione del virus tramite i derivati del sangue.
La scoperta del genoma del virus ha permesso di identificare i sette genotipi virali G1-G7 che in seguito sono stati associati ad una diversa probabilità di risposta alla terapia antivirale (per i genotipi 2 e 3 è più facile la guarigione, per i genotipi 1-4-5-6 la guarigione è più difficile).
Una volta acquisita l’infezione da HCV, il 15-25 % dei pazienti guarisce spontaneamente senza alcuna terapia ma il 75-80% dei pazienti evolve verso una malattia cronica. Di questi solo un 20-40% poi evolverà verso la forma più grave della malattia e cioè la cirrosi epatica.
I fattori che favoriscono l’ evoluzione in cirrosi epatica sono: il consumo di alcol, l’obesità, il sesso maschile e la concomitante infezione con i virus dell’epatite HBV e della immunodeficienza HIV.
Solamente il 3% dei pazienti con cirrosi epatica potrà presentare il tumore primitivo del fegato. Il virus dell’epatite HCV è responsabile anche di altre manifestazioni cliniche importanti come: vasculite e neuropatia crioglobulinemica, linfoma a cellule B, malattie autoimmuni e diabete.
La terapia antivirale per la cura definitiva dell’epatite cronica HCV ha visto susseguirsi negli anni diverse tappe.
Il primo farmaco impiegato nella cura è stato l’Interferone, una citochina che amplifica la risposta immune verso il virus con percentuali di successo inferiori al 10%. Alla fine degli anni novanta venne associata alla terapia con Interferone la Ribavirina, un antivirale mirato, portando alla guarigione il 35-40% dei pazienti trattati.
Una svolta importante si ebbe con l’introduzione dell’Interferone Peghilato, una formulazione somministrata una volta alla settimana con risposta superiore al 50%.
Purtroppo, Interferone e Ribavirina sono gravati da effetti collaterali molto importanti come: l’anemia, la riduzione del numero delle piastrine e dei globuli bianchi, la comparsa di febbre e dolori muscolari che costringevano la sospensione della terapia in una percentuale significativa di pazienti.
Nel 2011 vennero impiegati assieme all’Interferone e la Ribavirina una nuova classe di farmaci denominati “Inibitori delle Proteasi” (Boceprevir e Telaprevir) che hanno permesso la guarigione di quasi il 75% dei pazienti trattati.
Anche questi due farmaci sono però gravati da effetti collaterali molto severi per cui sono poco impiegati.
Attualmente sono in fase avanzata di studio almeno 10 nuovi farmaci che secondo i dati preliminari hanno una potente azione antivirale con percentuali di guarigione che sfiorano il 100% dei pazienti con infezione cronica da HCV.
Il nostro Sistema Sanitario Nazionale ad oggi mette a disposizione dei pazienti uno dei farmaci capostipiti di nuovissima generazione, il Sofosvubir. Tale farmaco, assunto assieme alla Ribavirina , permette la guarigione del 97% dei pazienti con genotipo 2.
A breve sarà a disposizione un secondo farmaco(Simeprevir) che assieme al Sofosvubir permetterà di raggiungere risposte terapeutiche molto elevate anche per i genotipi virali meno sensibili all’Interferone. Non basta, perché entro l’anno saranno a disposizione nuovi farmaci antivirali i quali, assieme al Sofosvubir , permetteranno di curare la quasi totalità dei pazienti HCV positivi.
Questi farmaci si differenziano dai precedenti per la potente attività antivirale, la breve durata della terapia(4-6 mesi) e per l’assenza di effetti collaterali importanti.
La regione FVG ha stabilito delle direttive per il trattamento dei pazienti con infezione da HCV che prevede tre fasi: nella prima fase verranno trattati i pazienti con malattia epatica molto avanzata(casi molto urgenti), nella seconda fase potranno essere trattati i pazienti con cirrosi epatica senza complicanze(casi meno urgenti) e in una terza fase, che probabilmente inizierà verso la fine del 2015 inizio 2016, verranno trattati quasi tutti i pazienti con epatite cronica da HCV.
Ci sono voluti circa 25 anni per conoscere le caratteristiche epidemiologiche e patologiche di un virus che ha causato la morte di milioni di persone. Sembrava una battaglia senza fine ma ora possiamo dire che con questi nuovi farmaci la vittoria definitiva sul virus è vicina.